L'UOMO SENZA PAURA

 

N° 45

 

IL RITORNO DEL RE

 

(PARTE TERZA)

 

 

COMPLOTTI

 

Di Carlo Monni

 

 

1.

 

 

            Il mio nome è Devil… o almeno lo è quando indosso questo costume rosso ed attillato. Perché lo faccio? Non è facile da spiegare: diciamo che non sopporto l’ingiustizia e faccio quel che posso per porvi rimedio. Impresa difficile per chiunque, figuriamoci per un cieco. Proprio così: non ci vedo, ma lo stesso incidente che a 15 anni mi privò della vista ha anche aumentato il resto delle mie percezioni. I miei restanti quattro sensi sono aumentati a livelli inimmaginabili ed in più ho anche acquisito una specie di senso radar grazie al quale riesco ad avere una percezione sufficientemente nitida di ciò che mi circonda. Ad esempio: adesso so di essere circondato da tre superumani in costume, una ventina di donne armate pesantemente e qualche uomo con delle comuni pistole. Eh sì: fa proprio comodo avere dei supersensi, ti aiuta a sapere che sei messo proprio male.

 

            T’Challa cade: il vuoto lo avvolge in un cupo abbraccio ed il suolo si fa sempre più vicino. Chiunque sarebbe spacciato cadendo da un’altezza di 30 piani, ma lui non è chiunque: è la Pantera Nera, il campione designato del suo popolo, le cui facoltà sono state aumentate grazie ad erbe e strani riti per donargli le stesse facoltà del grande felino di cui porta il nome. Senza perdersi d’animo comincia una serie di piroette per avvicinarsi il più possibile al palazzo da cui è caduto. Le braccia si tendono sino allo spasimo ed alla fine la sua mano destra riesce ad afferrare il pomello di un’asta di bandiera. Per fortuna c’è n’è sempre almeno una su ogni casa, pensa il Felino della Jungla, ma il suo sollievo è di breve durata: la presa non è abbastanza salda e la mano scivola. Istintivamente T’challa stringe, stavolta con entrambe le mani, la bandiera, ma il tessuto non è abbastanza forte da sostenere il suo peso, si lacera e la caduta riprende. Gli rimane un solo tentativo: un doccione proprio sotto di lui. Usando il rimasuglio della bandiera che ancora tiene in mano riesce ad aggrapparvisi, ma un dolore acuto alla spalla destra lo avverte che si è probabilmente slogato il braccio. Stringe i denti e resiste, riuscendo a risalire fin sopra la sagoma del gargoyle di pietra. È sopravvissuto ed ora penserà al Lupo Bianco.

 

         Quando entro nel parlatorio, lui mi sta già aspettando. Se possibile è ancora più imponente di come lo ricordavo, ma ad essere sinceri non è che l’abbia incontrato molto spesso negli ultimi tempi, non da così vicino almeno.

-Venga pure avanti Mr. Urich…-mi dice -… sono contento di rivederla. Posso chiamarla Ben? In fondo è come se fossimo vecchi amici.-

            Come no? In ricordo di quella vecchia amicizia ho avuto un polmone perforato ed una mano spezzata, bei ricordi davvero.

-Può chiamarmi Mr. Urich…- gli rispondo mentre mi siedo davanti a lui -… e non siamo mai stati amici da quel che ricordo.-

            Wilson Fisk, alias Kingpin, sorride, uno di quei sorrisi che ti fanno pensare ad una belva che pregusti il momento in cui ti azzannerà alla gola, ma non si muove, a parte una lieve scrollata di spalle.

-Come sta il nostro comune amico? Quello vestito di rosso intendo.- mi chiede.

-Vuol farmi credere che non lo sa?- rispondo -Ero convinto che le notizie circolassero liberamente qui dentro. Comunque, credo che sia molto soddisfatto che lei sia qui dentro, anche se è un carcere di minima sicurezza e sarà solo per pochi anni, troppo pochi rispetto  quelli che si meriterebbe.-

-Questione d’opinioni. Non ha importanza, però, perché presto io sarò fuori di qui.-

-Ha così fiducia di poter vincere il suo appello?-

-Tutto può accadere, ma qualunque cosa accada, non cambierà il fatto che io presto uscirò di qui.-

            Qualcosa nel modo in cui l’ha detto mi fa sentire decisamente preoccupato.

 

 

2.

 

 

            Il nero Felino della Jungla scivola nella notte tra i canyon di cemento ed asfalto della città. La traccia è labile, ma per uno come lui è ancora facile da seguire, la caccia continua.

T’Challa non può non chiedersi che tipo di legame ci sia tra Il Lupo Bianco ed uno come Doeke Riebeeck. Hunter è un tipo strano, ma non al punto da collaborare con un razzista di seconda categoria come quello. E poi cosa avrebbe da guadagnarci? Il Lupo Bianco ha sempre agito nella convinzione che T’Challa sia inadatto al ruolo di re, troppo tenero e troppo aperto alle novità del mondo esterno e naturalmente è tra coloro che pensano che sia un errore da parte sua sposare una occidentale. La Pantera Nera crede di non sbagliare nel pensare che, consciamente o meno, Hunter si ritenga più adatto dei figli di T’Chaka a  tentare le prove della Pantera e che il personaggio del Lupo Bianco sia nato per reazione al fatto che lui, figlio adottivo e per giunta bianco e proveniente dal mondo esterno, fosse escluso dal tentare le prove destinate a designare il legittimo capo del Clan della Pantera e sovrano indiscusso di tutta Wakanda. In un certo modo è diventato più wakandano dei wakandani veri.

Le sue riflessioni sono spezzate dal suono della voce del fedele Omoro, il Capo della Sicurezza del Consolato Wakandano a New York e molto altro, che eccheggia dall’altoparlante del microfono incorporato nel suo cappuccio:

<<Mi scusi, signore, ma temo di dover richiedere la sua presenza al Consolato.>>

-Non ho tempo adesso, Omoro.- replica T’Challa -Sto dando la caccia a…-

<<Al Lupo Bianco, lo so. Quel tristo individuo è proprio qui, mio Re.>>

         T’Challa riflette: cosa sta succedendo? Ovviamente ha un solo modo per scoprirlo.

-Arrivo.- risponde semplicemente.

 

         Ammettiamolo: ci sono modi migliori per passare una serata che mettersi un attillato costume rosso e mettersi in cerca di torti da raddrizzare. Io, ad esempio, riuscirei a pensare ad almeno un paio di occupazioni più piacevoli che trovarmi in questa villa di Riverdale, Bronx, a combattere un piccolo esercito deciso  a farmi la pelle.

            Una buona metà sono donne vestite dell’uniforme nera e oro dell’organizzazione terroristica chiamata Spettro Nero. Alla loro guida un uomo chiamato Mandrillo. Potete anche provare a ridere del suo aspetto simile a quello della scimmia antropomorfa di cui porta il nome, ma non avrete una seconda occasione per farlo. Il Mandrillo è un mutante  che a doti di agilità e forza fisica unisce un potere unico: quello di soggiogare la volontà di qualunque donna sia nelle sue vicinanze, un potere a cui finora solo una mia buona amica di nome Shanna O’Hara[1] ha mostrato di saper resistere. Adesso però non è solo il Mandrillo a preoccuparmi, il pericolo immediato è rappresentato dalle armi delle sue accolite e dei loro alleati.

            Non è piacevole essere un bersaglio vivente, ma in fondo  ci ho fatto l’abitudine. I miei supersensi mi sono d’aiuto nel sopravvivere. Non sarò più veloce di una pallottola, ma riesco a sentire le variazioni nel battito cardiaco e negli altri segni vitali, il rumore delle armi che si preparano a sparare. Non sono più veloce di una pallottola, l’ho detto, ma riesco ad anticipare di una frazione di secondo lo sparo e mi sposto dalla traiettoria di tiro. Continuo a muovermi troppo veloce perché riescano a prendermi efficacemente di mira, ma per quanto ci riuscirò? Salto, colpisco con calci, pugni ed usando anche il mio fidato bastone, ma sono troppi e per quanto mi piacerebbe pensarlo, temo che non riuscirò a farcela da solo contro tutti. Se non altro Debbie Harris è al sicuro adesso ed io non debbo affatto perdere la speranza, dopotutto mi chiamano l’Uomo senza Paura e me la sono cavata in circostanze peggiori, giusto? Me la caverò anche stavolta.

            Sento il Mandrillo incitare le sue donne, se solo potessi raggiungerlo, forse…

            Mi esibisco in uno dei miei numeri di alta acrobazia. Riesco ad evitare altri colpi e gli sono addosso. Un calcio alla mascella lo spinge a terra, ma non basta a stenderlo, devo… maledizione, ero troppo concentrato su di lui e non ho prestato attenzione a Nekra  Il taglio della sua mano  mi raggiunge al plesso solare ed io faccio appena a tempo ad accompagnarlo attutendone l’impatto, che lei cerca di sferrarmi un calcio al viso.

            Non è esattamente il sogno della mia vita battermi con una donna che è invulnerabile quando odia e che non mi ha messo nella lista dei suoi migliori amici, ma non ho scelta.

-Sta buono, Devil… e lasciati ammazzare.-

            Devo stare invecchiando: il Mandrillo mi ha preso di sorpresa e mi ha afferrato cercando di schiacciarmi la cassa toracica, Liberarmi potrebbe essere un problema se… Ehi… ma cos’è quello?

 

            Quando Franklin Nelson addenta la sua terza fetta di torta, Liz Osborn non può fare a meno di dire:

-Non ti sembra di stare esagerando Foggy? Sei la cosa più vicina ad una figura paterna che Normie abbia e non gli stai certo dando il buon esempio.-

-Uh… davvero Liz?-borbotta Foggy facendo sparire tra le fauci quel che rimane della torta. Non pensavo di essere un esempio da seguire per Normie.-

-Beh… lo sei. Normie era ancora molto piccolo quando suo padre è morto ed è stata dura crescerlo da sola, mandare avanti la compagnia e da qualche anno a questa parte cercare d’impedire che suo nonno non lo traviasse con le sue idee sul retaggio degli Osborn. Sinceramente l’ultima cosa che vorrei è che mio figlio cresca per diventare uno psicopatico che si veste da folletto e cerca di uccidere l’Uomo Ragno. Per questo ha bisogno di avere a fianco una figura con dei valori solidi e positivi.-

-E quello sarei io? Grazie Liz, non so se ne sarò all’altezza, ma ci proverò.-

-Non ti chiedo altro Foggy.- dice Liz allungando la mano fino a toccare quella del paffuto avvocato che sorride impacciato.

 

 

3.

 

 

         Lapide entra nel mio ufficio con passo sicuro e si ferma di fronte  alla mia scrivania.

-Voleva vedermi, Gufo?-

-Ho un incarico per te, Lapide.- gli rispondo  - Alexei Kostantinovitch Gerasimov sta diventando un vero fastidio. Sono convinto che ci siano lui ed il suo mentore, il cosiddetto Ivan il Terribile, dietro i recenti assassini di pubblici funzionari e mafiosi. Il loro gioco è chiaro: vogliono espandersi eliminando la concorrenza con tutti i metodi. Questo non mi piace: Tutta questa violenza non è buona per gli affari, deve essere fermata.-

-Quindi adesso vuole che lo uccida?-

-Voglio un lavoro pulito; nessuno di quei macelli per cui sono famosi i Russi. Trovami il suo sicario.-

-E quando l’avrò trovato.?-

-Lascia il suo cadavere sulla porta di casa di Gerasimov.… e se  ancora non capisce….-

         Lapide sogghigna.

-E se durante il lavoro m’imbatto in qualcuno dei suoi uomini?-

         Stavolta tocca a me sogghignare.

-Puoi farne quel che ti pare, non m’interessa.-

         Lapide esce ed io rimango solo coi miei pensieri. Negli ultimi tempi mi sono abituato troppo a delegare: sento la mancanza dei tempi in cui entravo in azione personalmente, ma non sono più quei tempi. Ora comando un vasto impero criminale e nessuno me lo porterà via, nessuno.

         Vado alla finestra e mi lancio nel vuoto, sostenuto dalle correnti ascensionali, volo ed è il solo momento della giornata in cui mi sento davvero libero.

 

         Quando T’Challa entra nel Consolato Wakandano a New York trova ad attenderlo Omoro, impeccabile come sempre. Sul suo volto un’espressione decisamente impenetrabile, le labbra piegate in quella che potrebbe essere una smorfia di disapprovazione e l’unico occhio sano che lo guarda con un lampo di… preoccupazione?

-Dov’è?- chiede la Pantera Nera senza tanti preamboli.

-In salotto.- risponde Omoro e poi segue il suo re che a passo di marcia entra nella sala dove l’uomo conosciuto anche come Hunter sta sorseggiando un bicchiere di vino.

-Ben arrivato T’Challa.- gli dice –Spero che non ti dispiaccia se mi sono servito dalla riserva reale, ma tu stavi tardando.-

         T’Challa non parla, ma lo afferra per il bavero e lo spinge contro una parete mentre il calice gli sfugge dalle mani e s’infrange sul pavimento.

-A che gioco stai giocando?- lo apostrofa –Perché sei qui? Perché hai cercato di uccidermi?-

         Il Lupo Bianco si libera dalla stretta e respinge indietro T’Challa.

-Una cosa alla volta “Mio Re”.- replica –Innanzitutto, chi ha detto che ti volevo morto? Dopotutto sei sopravvissuto… proprio come sapevo che avresti fatto.-

-Non hai ancora risposto.-

         Il Lupo Bianco si concede un sorrisetto di scherno, poi si infila il cappuccio. Ora sembra quasi una versione in bianco dello stesso T’Challa.

-Hai dei nemici, questo è certo e questi nemici vogliono la tua testa. E perché non dovrebbero? Hai un animo troppo debole. Un vero re governa  con mano ferma e non permette ai suoi nemici di vivere per complottare contro di lui.-

-Abbiamo già fatto questo discorso. Non adotterò mai i metodi che mi proponi.-

-Ed è per questo che sei destinato a cadere… volevo che lo sapessi da me.-

-Ora che me l’hai detto… perché non dovrei farti imprigionare qui e adesso?

-Perché non ci riusciresti. Vuoi provare?-

         T’Challa non risponde… non a parole almeno.

 

         La palestra di una prigione federale di minima sicurezza ha i suoi piccoli vantaggi. Per Wilson Fisk il vantaggio maggiore è poter continuare a mantenersi in forma, il che per chi contempla la sua enorme massa potrebbe sembrare un controsenso. Prenderlo semplicemente per un uomo eccezionalmente obeso sarebbe fare un grave errore di sottovalutazione: quella non è semplicemente ciccia, ma muscoli dotati di forza letale. Fin troppi sono rimasti sorpresi dalla sua vera forza e pochi sono sopravvissuti per raccontarlo. Tra quei pochi ci sono un paio di quei cosiddetti supereroi: l'Uomo Ragno  e soprattutto Devil.

Murdock! Pensando a lui Wilson Fisk, meglio noto come Kingpin, digrigna i denti. Quando è stato che il confronto tra loro ha cessato di essere una questione d’affari per diventare qualcosa di personale? Ha tentato di distruggerlo, di rovinargli la vita, più volte, ma ogni volta lui è tornato a galla. È stata la sua ossessione verso quell’avvocato cieco a renderlo distratto, vulnerabile agli attacchi dei suoi nemici, ad impedirgli di contrattaccare fino a che il Gufo non lo ha sconfitto portandogli via il suo impero criminale? Non importa, perché lui è sopravvissuto e presto, molto presto si prenderà la sua rivincita su tutti i suoi nemici. Si tratta solo di aspettare, solo di aspettare.

 

 

4.

 

 

Forse sono stato peggio, ma nelle mie attuali condizioni mi riesce difficile ricordarlo. Il Mandrillo mi sta sottoponendo a quella che nella lotta libera è chiamata “Presa dell’orso” e Nekra mi sta sottoponendo ad un fuoco di fila di colpi di karate. La pressione sta diventando insostenibile. Se non  mi libero alla svelta sarò presto un bel cadavere sul tavolo dell’obitorio.

Devo inventarmi qualcosa alla svelta… se avessi voluto morire con il collo spezzato da un mutante che sembra uno scimmione antropomorfo, sarei…. Beh sarei proprio qui, a pensarci bene, ma non è questo il punto.

Mentre con la forza della disperazione vibro un calcio a Nekra, senza peraltro ottenere nulla a causa della sua invulnerabilità, i miei supersensi colgono qualcosa… proprio com’era avvenuto pochi istanti fa.

All’improvviso qualcosa scatta contro il Mandrillo e manda entrambi a rotolare nell’erba.

Sento il Mandrillo esclamare:

:Ma che….-

            Approfitto del momento in cui la sua stretta si è allentata per scivolare lontano da lui e dal suo assalitore.

            Ma chi… o cosa… è il suo assalitore? Il mio senso radar non riesce a coglierne pienamente la massa, l’odorato mi porta alle narici un forte odore di selvatico, l’udito sente un suono gutturale, forse un ruggito.

            Un animale? Un leone o una Tigre o una Pantera?

-T’Challa?- mormoro, ma non mi arriva nessuna risposta. I miei sensi mi stanno mandando delle risposte confuse: ancora l’odore di animale ed un cupo brontolio, ma ora stanno mutando in qualcosa di diverso…

            Poi ecco che il persistente rumore delle sirene della Polizia sovrasta tutti gli altri.         Sento che stanno tutti scappando. Faccio uno sforzo per riportare sotto controllo le mie percezioni confuse e qualcuno mi tende una mano.

-Posso aiutarla signore?-

-Ce  la faccio da solo, grazie.- rispondo, respingendo una mano guantata… guanti di pelle, da autista.

            Quando mi rimetto in piedi io ed il mio salvatore siamo soli nel giardino: il Mandrillo e soci sono scappati.

            Squadro colui che è di fronte a me: apparentemente sembra umano, ma c’è qualcosa in lui…l’immagine che i miei sensi mi rimandano è contraddittoria… un odore animale… felino… un’energia che cova sotto le apparenze. Ho già provato queste sensazioni, ma quando? Certo: quando ho incontrato Puma tempo fa[2]…no… meglio ancora… con Tagak, il cosiddetto Dio Leopardo proveniente da una dimensione di felini antropomorfi.[3] Quest’uomo, se è un uomo, mi ricorda lui.

 La sua voce è bassa, priva di qualsiasi accento riconoscibile:

 –Ho visto che c’erano dei guai  e sono intervenuto a dare una mano. Lei è Devil, giusto?-

-Difficile confondermi con qualcun altro Mr…-

-Mi chiamo Hector e sono… uhm …. L’autista della famiglia Sterling.-

            Sterling… per un attimo sono perplesso, poi mi ricordo dove ho già sentito questo nome e dove ho già ”visto” la sagoma della villa vittoriana di fianco a quella dove mi trovo: un edificio indimenticabile per molti versi. Philip Wallace Sterling era l’ultimo rampollo di un’antica dinastia di imprenditori ed era anche un supercriminale noto come Seminatore di Morte. Morì in modo piuttosto orribile mentre tentava di uccidermi[4] ed in seguito sua madre tentò di vendicarlo trasformando la sua stessa villa in una gigantesca trappola mortale a cui riuscii a sfuggire a malapena.[5] Da qualche parte devo aver sentito dire che la proprietà era stata ereditata da una sorella che all’epoca dei fatti non abitava a New York.

            Ho appena finito queste riflessioni, che mi accorgo che il tizio di nome Hector è scomparso. Mi occuperò di lui in un altro momento. Ho la sensazione che Il Mandrillo ed i suoi amici mi terranno ancora occupato per un bel po’.

 

            Un duello di sguardi: è questo che accade tra le due figure che sembrano l’una lo specchio distorto dell’altra, poi T’Challa parla:

-Avrei potuto chiamarti fratello, ma tu hai scelto un’altra strada.-

-Non c’era posto per me nella tua Wakanda.- replica il Lupo Bianco -Sei stato molto chiaro su questo e non mi hai lasciato molta scelta.-

-E così sei passato dalla parte dei miei nemici.-

-Io sono sempre dalla parte del Wakanda, ricordalo.-

         Il Lupo Bianco si slancia in avanti, ma il suo slancio è arrestato da un’analoga mossa della Pantera Nera. Entrambi dovrebbero cadere a terra, ma con mosse aggraziate atterrano lontani l’uno dall’altro in posizione da combattimento.

Ancora una volta si squadrano, poi una bassa risata proviene da sotto il cappuccio del Lupo Bianco.

-Un’altra volta, magari.- esclama, poi fa una capriola all’indietro e si getta contro una finestra.

         Sorprendentemente, il vetro, che avrebbe dovuto essere infrangibile, si rompe ed il Lupo Bianco piomba all’esterno. Prima che qualcuno possa fermarlo è già saltato oltre il cancello ed è semplicemente scomparso nelle ombre.

         T’Challa fa per saltare fuori, ma Omoro poggia una mano sulla sua spalla destra.

-Non credo che sia saggio inseguirlo sul suo terreno, sire.-

-Conosco New York come la jungla di Wakanda.- replica la Pantera.

-Non ne dubito, ma lui ha avuto il tempo di preparare il terreno… e poi… tornerà e stavolta saremo preparati a riceverlo.-

         T’Challa scuote la testa: Non sarà così facile, pensa, poi riflette: qual’era lo scopo di Hunter?        Lavora da solo? Quale legame ha, se ce l’ha, con Doeke Rieebeck? Domande a cui dovrà dare una risposta prima che sia troppo tardi… ma tardi per cosa?

 

         Le ultime ore della sera in un grande giornale metropolitano sono le più cruciali, mentre si avvicina il momento in cui bisogna “chiudere” il giornale e si aspetta per vedere se arriverà proprio all’ultimo minuto una notizia importante.

            Come al solito io sono l’ultimo ad andarmene, Doris  un giorno o l’altro perderà la pazienza.

-Non vieni Ben?- mi chiede Candace Nelson.

-Voglio prima finire il pezzo sul processo di Kingpin.- le rispondo – Non mi convince troppo.-

-Pensi che se la caverà? Fisk, intendo.-

-E chi può dirlo? Lo hanno dato per spacciato molte volte, ma è sempre riuscito a cavarsela. Spero di no, comunque. Ha causato molto male a tanta gente che conosco.-

-Parli di Matt?-

-E non solo di lui. Direttamente e non direttamente è stato responsabile della morte di tanta, troppa, brava gente e se c’è una giustizia a questo mondo… e non ne sono affatto convinto… dovrà pagare prima o poi.-

            Candace abbozza un sorriso.

-Lo dice sempre anche Foggy.- commenta –Ma non mi sembra più convinto di te.-

            Mi saluta ed esce ed io rimango solo a battere sui tasti fissando lo schermo, poi, improvvisamente alle mie spalle ecco una voce ben nota.

-Come vanno le tue indagini, Ben?-

            Mi volto di scatto per trovarmi davanti una familiare figura vestita di rosso.

-Uno di questi giorni mi farai venire un infarto Matt.- lo apostrofo. Sotto la maschera di Devil Matt Murdock accenna a quello che potrebbe essere un sorriso e si appoggia ad uno schedario.

-Non mi hai risposto.- si limita a dire.

-Sono un giornalista.- replico .-Io non faccio indagini, quelle spettano alla Polizia.-

            Di nuovo quel sorriso.

-Tu e Willie Lincoln siete sempre convinti che dietro la morte di quell’informatore ci siano Abner Jonas e la sua cricca?-    

            Sospiro.

-Si… e spero che la trappola che stiamo preparando servirà a stanarli.-

-Me lo auguro. Stanotte mi sono sfuggiti, ma voglio ritrovarli. Sta attento Ben. Tu e Willie siete i miei migliori amici e quella gente non scherza.-

-Sta tranquillo io…-

            Ma posso risparmiare il fiato: Matt è già sparito. Lo odio quando fa questo trucchetto.

 

 

5.

 

 

            Il locale è elegante, ma discreto. Si trova tra Little Italy e Chinatown, a due passi, quasi letteralmente, dal Quartier Generale della Polizia e l’uomo trova la cosa decisamente ironica.

            L’uomo non ha ancora 30 anni, i capelli biondi gli ricadono sulla fronte in un ciuffo ribelle ed assieme  ai suoi occhi azzurri e sinceri accentuano l’impressione che sia ancora un ragazzino. Ad uno sguardo più attento, però, si evidenziano le sottili rughe sotto gli occhi e qualcosa nello sguardo: una sorta di tristezza e, sì, anche rassegnazione.

            Richard Fisk ha vissuto la sua parte di tragedie nella sua ancor giovane vita e di diverse di esse è stato il principale responsabile o almeno è ciò che pensa. L’ironia di tutto è che voleva percorre un sentiero di redenzione ed ha, invece, trovato la via della dannazione.

            Guarda ancora la ragazza davanti a lui: Candace Nelson è molto carina. Vorrebbe che non fosse solo una pedina nei suoi complicati giochi, ma Richard ha smesso da tempo di farsi illusioni su se stesso e la sua vita.

-A cosa stai pensando?- gli chiede Candace.

-A te, naturalmente.- risponde lui e perlomeno non è una bugia.

-Una rosa per la signorina?-

            Richard guarda il venditore ambulante di fiori. Il suo primo impulso sarebbe quello di mandarlo via con un gesto infastidito, poi ci ripensa.

-Facciamo tutto il mazzo.- dice.

-Richard!- esclama Candace con una risatina.

            Richard paga l’uomo e con un gesto teatrale porge il mazzo alla ragazza.

-Sei un po’ pazzo, lo sai?- lo apostrofa lei.

-Mi capita, ogni tanto.- replica lui.

            Prende una rosa ed usando il coltello accanto a lui ne taglia il gambo.

-Ti dispiace aiutarmi a metterla all’occhiello?- chiede a Candace sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.

 

                Questa è la mia chiesa. Beh non è proprio mia, appartiene alla diocesi per essere esatti, ma è qui che vivo e lavoro, se così vogliamo dire.

C’è stato un tempo in cui per chi mi conosceva, ed erano in tanti, ero semplicemente Kid Gawaine, uno dei più giovani aspiranti al titolo dei pesi massimi e l’avrei conquistato se… ma quella è un’altra storia.[6] Ora sono Padre Sean Patrick Gawaine, un prete cattolico in uno dei quartieri più difficili di New York.

Il suo nome ufficiale è Clinton, non come l’ex Presidente, ma come un famoso Governatore del XIX Secolo con la fama di riformatore. I suoi abitanti, però, continuano a chiamarlo con il nome che gli dettero più di 150 anni fa: Hell’s Kitchen. Credetemi: quello che il Diavolo cucina da queste parti è di solito molto indigesto.

Stasera non riesco a dormire e sono sceso in chiesa. A quanto pare è stata un’ottima idea, perché così riesco a sentire i gemiti di un uomo ferito che giace tra le panche. MI chino per soccorrerlo ed è in quel momento che una delle porte si apre di scatto ed entrano due uomini armati di coltello.

Improvvisamente non sono più così certo che scendere qui sia stata un’ottima idea.

 

Rientrare a casa attraverso il lucernario è un’abitudine consolidata ormai. Certo, i miei supersensi mi aiutano ad essere sicuro che nessuno mi stia osservando e preservano la mia fragile identità segreta e questo non è male. Forse dovrei costruire un passaggio segreto sotterraneo in modo da uscire e rientrare senza correre rischi. Un po’ come Zorro e quell’altro tipo[7]. Il problema è che non sono affatto tanto ricco da permettermi simili lavori e poi… come li giustificherei con gli operai?

Il dolore che sento mentre termino la mia capriola ed i miei piedi toccano il pavimento mi ricorda che ho almeno un paio di costole di cui prendermi cura. Nulla che un po’ di balsamo ed una notte di sonno non possano curare… almeno spero.

Mi sfilo il costume e faccio una rapida doccia, poi, dopo essermi asciugato, indosso i pantaloni del pigiama ed una vestaglia e quasi automaticamente metto gli occhiali scuri, poi scendo al piano di sotto, in cucina… ed è a questo punto che mi rendo conto di non essere solo.

-Perché nessuno usa mai la porta quando viene a trovarmi?- chiedo.

            Il mio ospite è seduto in una delle poltrone del salotto. Non ho bisogno di voltarmi verso di lui per sapere chi è e del resto gli occhi sono del tutto inutili per me. Riconosco il suo odore, il ritmo del suo respiro, la frequenza del suo battito cardiaco.

-Non avevo tempo.- dice -Penso di aver bisogno del tuo aiuto, Matt.-

            E se a dire una cosa del genere è la Pantera Nera, so che devo crederci.

 

 

FINE TERZA PARTE

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            E così si conclude un altro tassello della nostra piccola saga in otto parti. Vi prometto che per la sua conclusione la maggior parte delle trame parallele che compongono il nostro racconto troveranno una soluzione. Ehi: ho detto la maggior parte, ma non ho mica detto che saranno tutte. -_^

            Intanto, eccovi un po’ di note esplicative.

1)       Chi sia il Lupo Bianco, lo ho già detto nello scorso episodio e non mi ripeterò. Mi limito a segnalare come questo fratello adottivo di T’Challa non sia esattamente un supercriminale, almeno non del tipo convenzionale.

2)       Il volo di T’Challa ed il modo in cui si salva dalla caduta sono una citazione scoperta di una scena di Daredevil Vol 1° #170 (pubblicato in Italia in Fantastici Quattro, Star, #3) che vedeva come protagonista Devil.

3)       Il misterioso Hector è stato creato dal nostro Lupo Mannaro residente: Valerio Pastore. Chi fosse interessato ad approfondire il contesto in cui operano lui ed altri personaggi come lui, può leggersi KT7 e Power Pack.

E questo, direi, è tutto.

            Nel prossimo episodio: Lapide contro il Confessore… più o meno: Ben Urich nei guai (tanto per cambiare), la Pantera Nera a caccia di un assassino, un prete nei pasticci e qualche altro guaio assortito… ah già: dimenticavamo Kingpin. -._^



[1] Ovvero Shanna la Diavolessa, moglie di Ka-Zar, le cui avventure è possibile seguire su Jungle Savage.

[2] Amazing Spiderman #395/396 e Spectacular Spider Man #218/219 (Uomo Ragno, Marvel Italia, #180/181).

[3] Daredevil Vol 1° #72 (Devil, Corno, #70)

[4] In Daredevil Vol #158  (Uomo Ragno, Corno, #279/280)

[5] In Daredevil Vol 1° #208 (Star Magazine #5)

[6] Raccontata in Daredevil Vol 1° #68 (devil, Corno, #65).

[7] Quale altro tipo? Provate ad indovinare. -_^